Il confino di polizia

 

Durante il ventennio fascista, chi si opponeva al regime veniva perseguito e punito. Nel novembre del 1926, furono promulgate alcune leggi eccezionali sulla sicurezza dello Stato e venne riscoperto il confino di polizia. Le commissioni provinciali per l'assegnazione del confino di polizia, spedirono nelle "isole maledette" e nelle varie località in terraferma migliaia di antifascisti. La violenza fisica e il confino coatto, applicati nei confronti degli antifascisti, durarono per quasi tutti gli anni del regime. Eppure questo argomento risulta quasi dimenticato, se paragonato al fenomeno della resistenza, che durò meno di due anni. Le isole di cui si parla molto come colonie di confino fascista sono Ustica, Ventotene, Ponza, Lipari. Meno citata nei libri che trattano l'argomento è l'isola di Favignana, che pure ospitò diversi confinati politici. Forse ciò è dovuto al fatto che non ci sono stati tanti confinati politici di spicco o diventati poi famosi per il loro incarico istituzionale nell'Italia repubblicana. Ma, pur essendo passati per questo "scoglio" quasi tutti personaggi politici "minori", per quanto riguarda l'argomento ci sarebbe molto da raccontare. Per ricevere i confinati, nell'isola erano disponibili una quindicina di Cammaruna (cameroni), alcuni già preesistenti, vista la "vocazione" dell'isola. Come mi ha raccontato Esilda Gandolfo, "i tre cameroni di via Libertà li costruì mio nonno Diego Gandolfo, che era un possidente. Si parla all'incirca del 1850. Li affittò al ministero, che ci teneva dentro i confinati". Parlando dei cameroni in via Libertà (di fronte alle mura del carcere), Luigi Salvatori scrisse: "Erano tre a terreno ed altri tre al primo piano; in ventisette dovevamo starci dentro il camerone, per latrina un buco per terra senza riparo di uscio. Se uno si serviva di quel cacatoio senza l'accorgimento di tenere un giornale davanti mostrava a tutti la sua luna del culo " Si riferisce ai sei cameroni di via Libertà, ancora ben riconoscibili e in parte parte inutilizzati, posti di fronte alle mura del carcere. Oltre a questi, ce n'erano altri. Uno si trovava in via Amendola alla Praia, in mezzo alle baracche dei pescatori. Un altro si trovava in piazza Castello (dove ora ha sede la Banca "G. Toniolo"). Uno era in via Trapani, 'è Celle, anche questo ben riconoscibile. Un altro si trovava dove venne poi trasferito il Consorzio agrario (oggi super mercato SMA). Uno era in via Ecce Homo. Una vecchia struttura in contrada Fosse ospitava altri quattro cameroni, più piccoli e da tempo abbandonati, posti a livello più basso della strada di circa 80 cm, che hanno forse dato il nome al luogo. Erano senza finestre; ognuno di loro aveva una bocca di lupo sul soffitto, con una grossa inferriata. Anche se il regolamento lo proibiva, il Cavalier Toscano direttore della colonia di Favignana aveva deciso di mettere i politici ed i comuni insieme, nello stesso camerone, che aveva un capo camerata. Dormivano fianco a fianco, in un sacco di paglia. I politici avevano manifestato la loro contrarietà, perché dovevano sopportare le angherie dei coatti comuni e a volte finivano per azzuffarsi. Le finestre erano piccole e sbarrate, perciò all'interno del camerone entrava poca aria; con il Clima delle Egadi, d'estate i cameroni diventavano forni. L'acqua era contenuta in una grande botte e le cimici arrivarono ad annidarsi fino nelle crepe dei muri! Un camerone a piano terra era stato dato in affitto per tenerci dentro parecchi muli che attiravano molte mosche. La ritirata veniva fatta suonare con la tromba alle quattro del pomeriggio, poi i confinati venivano rinchiusi a chiave fino alle sette del mattino. La colonia non era dotata di infermeria. In alcuni casi í confinati sono stati raggiunti dalla famiglia ed hanno avuto (dopo molte richieste) il permesso di vivere in una casa in affitto, ma a condizioni umilianti: ricevevano infatti continue visite a domicilio; la casa doveva avere le finestre sbarrate e la chiave della porta, una volta chiusi dentro la sera, doveva essere consegnata ai militari, che la restituivano la mattina dopo. Cinque case erano state affittate ai confinati in via Matteotti al primo piano, di fronte all'attuale tabaccaio Ernandes. Nelle altre isole, c'era minore rigidità per chi andava a vivere in affitto con i propri familiari. Perciò tanti potevano fare a meno di dormire nei cameroni comuni e potevano ritirarsi la sera alle ore diciannove d'inverno e alle ore ventuno d'estate. A Favignana non era possibile. Ci sono molti esempi che ricordano come, in quest'isola, la vita di coatto (specie se politico) era più difficile. Il duro cav. Toscano aveva deciso di condurre la colonia un po' a proprio piacimento. Le lettere, prima di essere spedite ai propri familiari, subivano la censura del direttore della colonia e del prete del carcere; così poi questi sventurati dovevano sopportare anche la predica. Tutto questo non succedeva ai coatti comuni, che per posta avrebbero potuto combinare chissà quali affari... Il confinato veniva controllato a vista; non poteva allontanarsi dal centro abitato, ma gli era proibito di fermarsi in piazza; nei locali pubblici poteva entrarci, ma non sedersi; gli era vietato di salire al semaforo situato sopra il castello di Santa Caterina per godere del panorama; non poteva fermarsi nella strada che porta al cimitero; e così via. Ancora negli anni Sessanta, si potevano vedere i vecchi segnali stradali ormai arrugginiti, che servivano per segnalare al confinato i limiti da non oltrepassare. Solo i pochissimi che lavoravano potevano non tenerne conto, perché avevano il permesso del direttore. Per ogni mancanza al regolamento, il confinato veniva rinchiuso nel carcere San Giacomo e tenuto a pane e acqua per una ventina di giorni. Se la mancanza al regolamento veniva reputata grave, veniva lasciato in quelle condizioni per alcuni mesi.

 

 

Dal libro di Michele Gallitto "Egadi Ieri ed Oggi"